Negli ultimi giorni due dati sorprendenti hanno riportato le lancette del tempo indietro di 40 anni, almeno per quanto riguarda l’inflazione: L’inflazione dei prezzi al consumo UK registrata a Luglio è stata del 10.1% annuo, tornando quindi alla doppia cifra come negli ’80, mentre l’inflazione dei prezzi alla produzione tedeschi è arrivata al 37% (vedi grafico allegato), un dato che non ha precedenti dal secondo dopo-guerra ad oggi!
Sinora FED e BCE hanno minimizzato la minaccia, l’una supportando la narrativa dell’efficacia della manovra dei tassi e l’altro credendo nella transitorietà del fenomeno. Solo la Bank of England (BOE) non ha usato mezzi termini, affermando di aspettarsi una recessione profonda a partire dal quarto trimestre 2022 ed una inflazione fuori controllo almeno fino alla fine del 2024.
Chi non può sottovalutare il problema sono le famiglie e le imprese, strutture portanti dell’economia reale, che si trovano totalmente impreparate e, soprattutto, prive di supporti esterni, per affrontare questa inedita situazione.
Ricordiamo che inflazione e recessione rappresentano una miscela esplosiva, un tunnel chiamato
“stagflazione” che si accompagna a periodi storici molto turbolenti ma dei quali gli attuali policy makers, con pochissime eccezioni, sembrano non preoccuparsi a sufficienza.
Questo scenario di elevatissima incertezza rende anche difficoltosa, per non dire impossibile, qualsiasi previsione sui mercati finanziari. Da un lato, infatti, possiamo aspettarci ulteriori aumenti dei tassi con effetti negativi sia sulle Borse che sull’intero comparto obbligazionario. Dall’altro, laddove l’impatto recessivo prevalesse su quello inflattivo, si aprirebbe una fase di fallimenti aziendali, crisi occupazionali e pressioni sugli spread creditizi, con la possibilità di contagio al livello di sistema bancario internazionale.
La prudenza, in questo momento, è quanto mai raccomandabile, soprattutto nei confronti dei classici comparti azionari e obbligazionari che potrebbero scontare ancora perdite importanti. Da raccomandare, invece, sono tutti gli investimenti su asset a bassa o nulla correlazione rispetto all’andamento dei mercati, che non subiranno le conseguenze di probabili crisi economico-finanziarie.